Storia della maschera di Farinella
Farinella è la maschera tipica del Carnevale di Putignano.
Il suo nome è preso in prestito dal piatto simbolo della cucina putignanese: una farina finissima, ricavata da ceci e orzo prima abbrustoliti poi ridotti in polvere dentro piccoli mortai di pietra; un alimento semplice e sostanzioso, in passato immancabile presenza sulle povere tavole contadine, destinato al connubio con sughi, olio o fichi freschi.
Al primo Farinella, una specie di ubriacone sbrindellato senza caratteristiche particolari se non la miseria, segue agli inizi degli anni ’50 la versione di Mimmo Castellano, su richiesta dell’allora presidente del Carnevale di Putignano il commendatore Elefante.
Castellano ne stravolge abbigliamento e personalità: il nuovo Farinella è una fusione tra la maschera di Arlecchino e il Jolly delle carte da gioco, ha un abito a toppe multicolori, un gonnellino rosso e blu – colori della città – e un cappello a tre punte con campanelli, simbolo dei tre colli su cui sorge Putignano. Della maschera originale Castellano decide di mantenere solo il volto rubizzo e il naso rosso.
Allegro e scanzonato, con quegli occhi beffardi e il sorriso ironico riassume il carattere dei putignanesi: provocatori, ironici, innamorati della vita, del buon bere e del godere a tavola. Orgogliosi della loro terra e del loro dialetto.
Farinella è il simbolo di un Carnevale che dura tutto l’anno, di una festa che racchiude allegria, riflessione, malinconia, gioia ed eccesso. In una parola, vita.
Da ubriacone a eroe: la salvezza del forno
Oltre a sfornare farinella, un giorno dal forno uscì Farinella, che da semplice fornaio diventò il salvatore della città. Questa versione dipinge Farinella non più come ubriacone, ma come un astuto ideatore.
Accadde che, nel secolo XIV, i saraceni frequentemente razziassero le zone di Putignano e dintorni portando scompiglio e povertà.
All’alba dell’ennesima incursione, a Putignano, un tale ebbe un’idea brillante per scampare alla razzia. Questo tale non aveva nome; o almeno, nessuno lo ricordava. Tutti lo chiamavano Farinella, poiché era fornaio e si distingueva dall’eccezionale naso rubicondo che aveva, nonostante non bevesse.
Farinella, dunque, salvò il paese.
Le cose andarono così: avvertiti dell’arrivo dei saraceni tutti gli abitanti si riunirono in piazza per decidere il da farsi: chi voleva scappare nella campagna e aspettare che i razziatori se ne andassero, chi voleva dar battaglia. Una gran discussione. Ad un certo punto, Farinella, alzò la mano e disse che aveva un’idea.
Tutti presi alla sprovvista dalla insolita intraprendenza rimasero a fissarlo e Farinella ne approfittò per esporre il suo piano: “Ascoltate non c’è bisogno né di abbandonare le nostre case, né di rischiare la vita in uno scontro impari. Li faremo cadere in un tranello. Da poco tempo è passata la peste, ma la paura è ancora molta: ci fingeremo malati di un morbo sconosciuto. Prenderemo la farinella e la spalmeremo sul corpo come se fosse pieno di pustole, poi tra noi serviranno dei monatti: mettetevi i vestiti delle guardie cittadine – rossi e blu – così da essere distinguibili, porterete anche campanelli sul cappello o sui piedi così farete rumore al passaggio, come usano fare quelli che trasportano i malati di peste. Infine, le guardie dovranno andare incontro ai saraceni, in veste di messaggeri: direte che la città è in quarantena, perché appestata.”
Tutti rimasero stupiti dal grande piano del fornaio.
Dopo alcuni minuti di riflessione, si votò.
La maggioranza era per attuare il piano di Farinella.
Tutta la popolazione in fermento, si diede da fare, perché tutto fosse pronto all’arrivo dei saraceni.
Quando le guardie cittadine avvistarono i primi cavalli, andarono incontro ai briganti e riferirono di non entrare in città perché era in quarantena.
I saraceni, scettici, mandarono due uomini a vedere, ma essi appena misero piede in città e videro i cittadini con le orrende piaghe e i monatti girare coi carretti, girarono i cavalli e tornarono dagli altri.
Putignano fu salva grazie all’ingegno di Farinella, che venne festeggiato come eroe cittadino e rimase nella storia della città divenendo anche la maschera di carnevale.
Filastrocca di Farinella
Di Arlecchino ricordo i colori, di Brighella quel fare da furbetto, di Pulcinella la voglia di bighellonare: mi presento, il mio nome è Farinella.
Se ti è venuto un certo languorino sei sulla strada giusta! Prendi un piccolo mortaio, metti dentro ceci e orzo abbrustoliti, pesta tutto fino ad ottenere una polvere finissima: voilà, ecco a voi la nostra specialità.
In estate, saltellando di campagna in campagna, “prendo in prestito” qualche fico fresco qua e là; scelgo un albero bello grosso, mi stendo all’ombra, apro i frutti del mio bottino e ne aggiungo un’abbondante spolverata. Sempre, in ogni stagione, l’amata miscela si presta perfettamente al sacro rito della “scarpetta”.
Camino acceso, un bel bicchierone di vino e pancia piena: questa è vita!
L’acqua? Ve la lascio volentieri, amici cari. Io preferisco il vino della mia terra. Appena nato ero un ubriacone sbrindellato qualunque ma negli anni ’50 Mimmo Castellano, artista anticonformista e indisciplinato (proprio come me), ha deciso di rifarmi il look.
Un po’ Arlecchino, un po’ Jolly. Indosso un abito allegro e colorato, con un bel gonnellino rosso e blu, fieri colori della nostra amata città; porto sempre un cappello a tre punte, simbolo dei tre colli su cui è costruita Putignano, ogni punta termina con un sonaglino tintinnante. Sopracciglia folte e naso rosso, felice effetto del vinello che butto giù. Il putignanese è la mia lingua madre, l’italiano lo mastico per le grandi occasioni come il Carnevale, e durante le Propaggini sono sempre in prima fila.
Amo cantare fino a perdere la voce, ballare finché non mi tremano le gambe, mangiare fino a a che non mi sento satollo e, soprattutto, ridere fino a rimanere senza fiato.
Allegro e scanzonato, a Carnevale sono sulla bocca di tutti. È la mia festa signori!